Il loro è il titolo di studio più elevato attribuito in Italia. Possono formare i futuri insegnanti nei corsi abilitanti. E ricevere incarichi di docenza universitaria a contratto, in Italia e all'estero. Ma non possono insegnare nelle scuole medie e superiori, perché relegati nella terza fascia delle graduatorie di Istituto. È il paradosso dei dottori di ricerca. Un paradosso tutto italiano: negli altri Stati europei sono abilitati all'insegnamento. Il nostro Paese è inadempiente alla direttiva europea 2005/36 sul mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali.
Nei giorni scorsi, dopo l'ennesima "beffa", alcuni dottori di ricerca hanno creato un gruppo su Facebook e lanciato una petizione su Change.org indirizzata al Parlamento. La beffa risale allo scorso 24 aprile, quando il Governo e le organizzazioni sindacali del comparto Istruzione e Ricerca hanno siglato un accordo sulla stabilizzazione dei precari storici, i docenti con 36 mesi di servizio nella scuola secondaria di I e II grado. L'accordo esclude inspiegabilmente i dottori di ricerca, la cui esperienza e professionalità è stata ritenuta inferiore a quella dei laureati con 36 mesi di servizio.
«Non si capisce su quale base – spiega Maria Rita Barone, siciliana, Ph.D. in Chimica farmaceutica, promotrice del gruppo - Trovo assurdo che i dottori di ricerca possano insegnare nei corsi abilitanti per docenti, ma poi nelle graduatorie di istituto siano in terza fascia: in pratica, dopo i docenti che hanno contribuito ad abilitare». «Il dottorato di ricerca – continua - è un titolo accademico post lauream, introdotto dalla legge n. 28/1980. Il dottore di ricerca ha svolto tre anni di studio e ricerca sul campo; frequentato corsi, seminari e convegni obbligatori con i luminari nei vari settori disciplinari; tenuto attività didattiche e di tutoring per gli studenti universitari; conseguito 180 crediti formativi; appreso una o più lingue straniere, talora nel corso di esperienze all'estero.
Ecco perché l'inserimento nella terza fascia delle graduatorie di istituto, insieme ai docenti in possesso del solo titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento, è estremamente penalizzante per un dottore di ricerca. Quale valore è attribuito al suo percorso formativo e didattico triennale? Nessuno».
Il gruppo Facebook, che in poco tempo ha riunito oltre quattrocento membri, chiede di avere gli stessi diritti dei docenti con tre anni di servizio. E formula precise proposte: un percorso abilitante riservato, l'esonero della prova preselettiva nel concorso scuola 2019, il riconoscimento di tre anni di servizio scolastico pari alla durata del corso di dottorato frequentato; la valorizzazione dell'insegnamento universitario in Italia e all'estero, delle pubblicazioni scientifiche, dei titoli di "cultore della materia", delle borse di studio e degli assegni di ricerca, ai fini del punteggio per l'inserimento nelle graduatorie d'istituto.
E dire che le occasioni per eliminare questo paradosso non sono mancate. La riforma Madia (2015), per esempio, prevedeva una corsia preferenziale per l'accesso ai concorsi, ma non ha avuto concreta attuazione. Il Ddl 2651/2017 presentato dall'on. Giovanni Mauro (GAL-UDC e DC), che proponeva l'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto, è fermo al Senato da più di due anni.
Nel frattempo i ricercatori fuggono all'estero. L'indagine Istat sul loro inserimento professionale (2015) afferma che, a quattro anni dal conseguimento del titolo, il 18,8% – quasi uno su cinque – lascia l'Italia. Uno spreco enorme di risorse e di competenze: lo Stato prima ha investito nella loro formazione e poi li ha lasciati scappare. Imprese, università, enti e istituti di ricerca stranieri, naturalmente, ringraziano. Chi resta, fatica a trovare un impiego. L'Università, stando ai dati dell'ADI - Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani - assorbe solo il 10% degli assegnisti. Le proposte avanzate dal gruppo Facebook mirano, quindi, a limitare la fuga di cervelli all'estero, a favorire l'inserimento lavorativo di risorse altamente qualificate e a innalzare la qualità del corpo docente.
Nei giorni scorsi, dopo l'ennesima "beffa", alcuni dottori di ricerca hanno creato un gruppo su Facebook e lanciato una petizione su Change.org indirizzata al Parlamento. La beffa risale allo scorso 24 aprile, quando il Governo e le organizzazioni sindacali del comparto Istruzione e Ricerca hanno siglato un accordo sulla stabilizzazione dei precari storici, i docenti con 36 mesi di servizio nella scuola secondaria di I e II grado. L'accordo esclude inspiegabilmente i dottori di ricerca, la cui esperienza e professionalità è stata ritenuta inferiore a quella dei laureati con 36 mesi di servizio.
«Non si capisce su quale base – spiega Maria Rita Barone, siciliana, Ph.D. in Chimica farmaceutica, promotrice del gruppo - Trovo assurdo che i dottori di ricerca possano insegnare nei corsi abilitanti per docenti, ma poi nelle graduatorie di istituto siano in terza fascia: in pratica, dopo i docenti che hanno contribuito ad abilitare». «Il dottorato di ricerca – continua - è un titolo accademico post lauream, introdotto dalla legge n. 28/1980. Il dottore di ricerca ha svolto tre anni di studio e ricerca sul campo; frequentato corsi, seminari e convegni obbligatori con i luminari nei vari settori disciplinari; tenuto attività didattiche e di tutoring per gli studenti universitari; conseguito 180 crediti formativi; appreso una o più lingue straniere, talora nel corso di esperienze all'estero.
Ecco perché l'inserimento nella terza fascia delle graduatorie di istituto, insieme ai docenti in possesso del solo titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento, è estremamente penalizzante per un dottore di ricerca. Quale valore è attribuito al suo percorso formativo e didattico triennale? Nessuno».
Il gruppo Facebook, che in poco tempo ha riunito oltre quattrocento membri, chiede di avere gli stessi diritti dei docenti con tre anni di servizio. E formula precise proposte: un percorso abilitante riservato, l'esonero della prova preselettiva nel concorso scuola 2019, il riconoscimento di tre anni di servizio scolastico pari alla durata del corso di dottorato frequentato; la valorizzazione dell'insegnamento universitario in Italia e all'estero, delle pubblicazioni scientifiche, dei titoli di "cultore della materia", delle borse di studio e degli assegni di ricerca, ai fini del punteggio per l'inserimento nelle graduatorie d'istituto.
E dire che le occasioni per eliminare questo paradosso non sono mancate. La riforma Madia (2015), per esempio, prevedeva una corsia preferenziale per l'accesso ai concorsi, ma non ha avuto concreta attuazione. Il Ddl 2651/2017 presentato dall'on. Giovanni Mauro (GAL-UDC e DC), che proponeva l'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto, è fermo al Senato da più di due anni.
Nel frattempo i ricercatori fuggono all'estero. L'indagine Istat sul loro inserimento professionale (2015) afferma che, a quattro anni dal conseguimento del titolo, il 18,8% – quasi uno su cinque – lascia l'Italia. Uno spreco enorme di risorse e di competenze: lo Stato prima ha investito nella loro formazione e poi li ha lasciati scappare. Imprese, università, enti e istituti di ricerca stranieri, naturalmente, ringraziano. Chi resta, fatica a trovare un impiego. L'Università, stando ai dati dell'ADI - Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani - assorbe solo il 10% degli assegnisti. Le proposte avanzate dal gruppo Facebook mirano, quindi, a limitare la fuga di cervelli all'estero, a favorire l'inserimento lavorativo di risorse altamente qualificate e a innalzare la qualità del corpo docente.
Link di approfondimento
Il gruppo Facebook : https://www.facebook.com/groups/283459142589313
La petizione su Change.org: http://bit.ly/2H0rsKR
Il gruppo Facebook : https://www.facebook.com/groups/283459142589313
La petizione su Change.org: http://bit.ly/2H0rsKR
Ddl 2651/2017: https://parlamento17.openpolis.it/singolo_atto/76525
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